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Showing posts from May, 2025
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  La culla è un altare vuoto Nel ventre, una campana suonava,  non per la nascita, ma per la bara.  Ti ho tenuto tra le ossa, mio agnello di vetro,  prima che il mondo decidesse di staccarti dal mio fiato.  Non ho più canti, solo ululati in una lingua che la casa non capisce.  Il silenzio è un grembo marcio.  Mi parli nei sogni con voce d’acqua rovesciata,  mi dici: « Mamma, torna nei muri, lì dove si piega la carta  da parati come le mani dei morti in preghiera ».  La culla è un altare vuoto.  Ogni notte vi depongo i miei capelli strappati,  le unghie spezzate dal grattare le ore,  una lingua morsa per non urlare.  Dio non mi guarda. Dio non è più nella Bibbia.  Forse spaventato dalla mia veste macchiata,  mi costringe a recitare i Salmi in controluce.  O forse è solo stanco di madri che amano troppo.  Ti ho visto stamattina nel cucchiaio,  curvo come una luna malata.  Le tue ossa di lat...
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  Io ritornerò, con membra di ferro, con la pelle scura, con l’occhio furioso: sulla mia maschera, mi si giudicherà di una razza forte. Avrò oro: sarò ozioso e brutale.  Una stagione all’inferno di Arthur Rimbaud (Newton Compton, 1995; SE, 2004; Newton Compton, 2007, ecc.) rappresenta per il collettivo uno dei libri-soglia. Scelto da Sabrina, questo libro è una bibbia sporca, un’opera che non consola, non guida e non spiega, ma infetta. Ci si torna come a una ferita che non si rimargina, che cambia col tempo come cambia la pelle. Una stagione all’inferno è una promessa. Un viaggio che non finisce mai di chiedere, né di scuotere. È la poesia che non cerca riscatto, né redenzione, ma che affronta la caduta.  La poesia di Arthur Rimbaud è quella di un esiliato, un ragazzino in fuga da se stesso e da una società opprimente e ostile; è quella di un profeta, un veggente. Nella famosa lettera (in francese Lettre du Voyant ) inviata dal poeta all'amico Paul Demeny il 15 maggio ...
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Chissà una notte camminando a passi alterni una tua notte sotto piogge profumate un momento un’altalena una penombra. Qualche luce a fine estate l’adunanza delle fate domandarsi “come stai”? anche tu con gli occhi stanchi. Quanti amori ti hanno acceso la candela sul vestito? Salivando il tuo carillon su quel nostro motivetto: “Oui, tu m’aimes”. Cade una tremenda dolcezza ** Due primavere. Tanto è ciò che passammo sentendoci ancora nel fiato cercandoci gli occhi nei giochi passanti degli altri. Ogni gonna ballerina vorticava la polvere che tu stessa portavi addosso come un rosario. Cadendo d’estate in estate pozzanghere vive anche senza la pioggia. Questo eravamo: un tempo nel tempo. L’ora dolcissima della sera che perdemmo ** Chi lo sa se a primavera tu ritorni zollando i madrigali -viburno e rododendro- nascendo rinascendo tu polvere d’incenso e cattedrale. Tu cremisi assonanza sul labbro arso teso disarmato. Chi lo sa se nell’autunno che viviamo tu ti arrendi al gioco vivo delle fogl...
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Umbri (Ombre) di Stefano Marino, pubblicato per la collana Incontri di Boetti & C. Editori nel 1992 in tiratura limitata di 300 copie numerate, rappresenta per il collettivo un esempio di poesia dialettale, in cui si concentrano tematiche di avvicinamento all’oscura parte del sé, così come la sua totale negazione in funzione di una redenzione prossima all’attraversamento della stessa. Il volumetto, incontrato qualche anno fa su un tavolo di un mercatino dell’usato a Venezia e scelto da Anna Rita, si compone di venti poesie, in maggioranza endecasillabi. Il poeta quasi novantenne, calabrese d’origine con base a Milano, utilizza un dialetto calabro-meridionale ereditato dalla costa jonica e dalla Piana del Tauro. L’oscurità è tema fondamentale, a cui si associa l’impulso divino della luce, attraverso immagini naturali intarsiate di crudezza. Infatti, l’opera si apre con U mè puzzu è fundu (Il mio pozzo è profondo) a introdurci il luogo dell’oscurità che se ri...