La culla è un altare vuoto


Nel ventre, una campana suonava, 
non per la nascita, ma per la bara. 
Ti ho tenuto tra le ossa, mio agnello di vetro, 
prima che il mondo decidesse di staccarti dal mio fiato. 
Non ho più canti, solo ululati in una lingua che la casa non capisce. 
Il silenzio è un grembo marcio. 
Mi parli nei sogni con voce d’acqua rovesciata, 
mi dici: «Mamma, torna nei muri, lì dove si piega la carta 
da parati come le mani dei morti in preghiera». 
La culla è un altare vuoto. 
Ogni notte vi depongo i miei capelli strappati, 
le unghie spezzate dal grattare le ore, 
una lingua morsa per non urlare. 
Dio non mi guarda. Dio non è più nella Bibbia. 
Forse spaventato dalla mia veste macchiata, 
mi costringe a recitare i Salmi in controluce. 
O forse è solo stanco di madri che amano troppo. 

Ti ho visto stamattina nel cucchiaio, 
curvo come una luna malata. 
Le tue ossa di latte nuotavano nel fondo 
del caffè e la mia colpa nera. 
Avevi gli occhi pieni di zucchero 
e mi dicevi: «Mamma, il cielo è una bara rovesciata». 
Io ti ho creduto. 

Un angelo mi ha parlato dalla vasca da bagno. 
Ha le tue orecchie, 
e un cuore che batteva a corrente alternata. 

Ride come ridevi tu 
quando il mio ventre era ancora un’arca. 

Ho cucito una tunica di carta stagnola. 
Mi protegge dai pensieri cattivi. 
Dicono che il metallo ferma le voci. 

Stanotte ho sognato il mare. 
Non era acqua, era latte rappreso, 
e tu ci galleggiavi dentro come un pensiero buono. 

Ho preso le lenzuola e ci ho fatto le ali. 
Mi sono lanciata dal letto come da un campanile. 
Il suolo non è mai arrivato.

Domani forse mi cureranno. 
Mi taglieranno via il tuo nome dal petto, 
mi cuciranno la bocca con i fili del silenzio. 

(Arrivo. Apparecchia la tavola nel cucchiaio. 
Mi siedo accanto a te. 
E questa volta, nessuno ci sveglia).


*


Preghiera d’autunno


Nell’ultima arresa dell’estate, 
con il gelo che avanzava 
e il sole morente a Sud-Ovest, 
la trapunta di muschio e il lenzuolo 
ricamato dal fato,

si fermavano a metà colonna 
dell’uomo che mi accarezzava 
i lembi delle vene. 
Era sopra di me, di corpo e di spirito: 
il cemento ruvido della lingua 
conobbe il sapore delle unghie appena tagliate, 
la fisionomia dell’ombra 
che si insediò nel palato. 
Con i fianchi in preghiera, 
gemevamo sciogliendo la battaglia 
dei soldati mandati al confine 
dei nostri aliti. 
Le gambe tremavano 
all’arrivo della barba — 
le posizionavo sulle sue spalle 
come a dire: «estirpa questo male». 
Avrei voluto celarlo in me, 
fra le radici del mio abete, 
divenendo giuntura unica 
su cui addormentarmi. 
Ho cominciato a pregare Dio, 
che il fievole respiro di quell’uomo stanco, 
non si staccasse mai dal mio piccolo seno, 
di donna appena nata.


*


Giro di campana


Il carillon sul tavolo, culla un lamento: 
spande il gemito tra i raggi midollari del legno. 
Rimembrano, le membra, il sudore aspro

dell’uomo che mi ha lasciato 
un semino di pianto dentro.

Il cavalluccio gira e gira in tondo: 
Si alza e si abbassa — coprirsi gli occhi, non può. 

Che spreco, ingravidare 
il buco del niente, con il caldo sperma 
munto dai testicoli che virilizzano 
le vene delle braccia 
che mi inscatolano il bacino. 
Sono fredda. Fredda e sola. 
Questo tempio, questo sarcofago 
non ha chierichetti a cui consegnare 
il corpo di Cristo Signore la domenica mattina. 

Forse mi avrebbero tenuta al caldo, 
con le loro preghiere alla Madonnina.


*


Ai campi che hanno attutito le cadute


Perché non mi hai protetta? 
Perché dimentichi il giorno in cui sono nata? 

Quando schiacciavi le noci con la bocca di metallo 
e razionavi le parti che ci avrebbero sfamato, 
perché riempivi sempre di più la tua pancia?

Sono tua figlia, sperma diventato corpo capriccioso.

Non ti piaccio come parlo 
(lo noto dai tuoi sbuffi)

come vesto 
(sono provocante, sporca)

come mi dipingo il viso 
(qual è il tuo colore preferito?)

come assottiglio la vita 
(un arte che mi insegnasti tu).

Pa-pà: ti chiamavo così le prime volte. 
Ppp-papà: quando le parole hanno smesso di funzionare.

Possiedo le tue mani 
Con le unghie che crescono verso i piedi, 
lo stomaco a digiuno per l’amore 
che non hai saputo trasferirmi

(lo stesso che hai tu, 
per la colpa di essere nato e ripudiato, 
come il figlio da scansare, seppellire).

Papà, gli uomini dopo di te 
mi hanno tutti scavato la buca per la tomba. 
Papà, sei tu il mandante, non è vero?

Il piano da eseguire, la distanza dalla tua terra 
dove essere interrata, 
la pala con cui dirmi addio.

Papà, neanche da fantasma, verrò a disturbarti... 
ma posso ancora un altro po’ nascondermi 
dietro la tua ombra?

Rocky, il cane incatenato in uno spazio 
di un metro, che non conobbe mai 
il calore delle carezze, per paura mi sbranasse le dita.

«È incattivito, guarda come ringhia». 
Papà, Rocky voleva solo non dormire 
nel suo stesso piscio.


*


Liturgia della carne scartata


Il mio seno porta il peso della vergogna, 
la lotta delle sorelle che hanno spremuto il loro, 
prima del mio, per insegnamento. 
La circonferenza dei capezzoli si adatta alla bocca 
di ciascun uomo a cui hanno tolto il ciuccio da bambino, 
ma non a quella dei loro figli. 
Il fiume arido della mammella è il vuoto di essere umana — non femmina. 
Il ponte tra una collina all’altra è il trapasso della mia esistenza: 
creatura sconsacrata, accudita dal diavolo travestito da Maria. 
Nelle vene che sorreggono lo scheletro 
scorre il sangue avariato dagli ormoni — la mia carne è scaduta. 
Nei piatti del grande maschio, seduto a capo tavola, 
con forchetta e coltello, coda di cagna 
ancora scodinzolante. 
Si pulisce le labbra dalle briciole 
con il bavaglino fatto con i miei capelli. 

Il cranio è nudo. Trema. 
Sbalzata fuori dalla figa e tenuta in una teca 
di vetro in attesa di crescere, cavia deformata in laboratorio. 
Mamma, mamma... i calci della tua bambina nata male, 
li hai sentiti sbattere nelle pareti della pancia? 
(Sono stata battezzata nelle mie stesse lacrime).


***

Sophie Di Silvio (Velletri, 2002) studia Lettere Moderne all'Università La Sapienza di Roma. Sue poesie sono comparse in diverse antologie (Habere Artem, Aletti Editore, 2021); (Una poesia al giorno Vol.II, Affiori, 2024); (Libertà, Affiori, 2025); Blog (Radura poetica, 2024-2025) e nella rivista Psicografici Editore n.10, 2024. Nel 2023 la sua prima raccolta poetica "Passeggiando ti trovo" edita Porto Seguro, e nel 2025 "Di carie venute" edita Affiori come ultima. Sono in corso altri lavori.


Foto di Christopher McKenney.

Comments

Popular posts from this blog