Scrissi poesie da giovane, giovanissimo […]; e ne riscrivo ora, come saluto, prima di andarmene. Per trent’anni sono stato zitto. Ho conosciuto anche la saggezza. Ma la gioventù e la vecchiaia sono il tempo della follia. Saluto il mio paese, e se proprio non mi sarà possibile farlo per ogni suo angolo, non ve n’è uno che nel mio cuore non tenga il suo posto partendo. E il nuovo libro si chiamerà: Cuor mio.
[Nota pubblicata sulla rivista Mercurio, 1946]
Cuor mio di Aldo Palazzeschi (pseudonimo di Aldo Giurlani), pubblicato alla sua prima edizione nel 1968 per Arnaldo Mondadori Editore, rappresenta per il collettivo un esempio di poesia maturata nel tempo, come scatto di vita alla giovinezza interiore che da sempre abitava il poeta.
La raccolta di poesia, scelta da Anna Rita, proviene direttamente dagli scaffali della Libreria Simon Tanner – libri d’occasione di Gagliano Aterno (AQ), luogo caro al collettivo, e i cui proprietari hanno contribuito all’organizzazione di un meraviglioso evento poetico tenutosi nel comune abruzzese, a dicembre 2024. Il libro è una prima edizione ed è considerata una delle opere di minor studio sulla poetica di Palazzeschi, molto più rinomato per la sua scrittura in prosa.
L’opera è composta da cinquantaquattro poesie, le prime trentotto in italiano e le altre sedici parte di una sezione in lingua francese, chiamata Quadretti parigini. Difatti, il poeta ci accompagna in quelle che apparentemente sono le strade delle sue città preferite (Roma, Venezia, Firenze e non solo) fino alla ville lumière, dove vi trascorse un breve periodo. Le riflessioni da osservatore urbano sono guidate da slanci spontanei di ironia e connessione divina, divenendo riflesso interiore dei movimenti che abitano l’uomo, il cui invito ritroviamo vivo nella poesia Per le vie di Calem, di cui tutti ci sentiamo irrefrenabilmente parte:
[…]
Non
vi posso assicurare
che tutti nella testa
abbiate una città
Dio me ne guardi
né voi lo sapreste perdonare
ma un minuscolo villaggio
certamente
un sorridente
e magari idillico paese
una borgata
una cascina
un casolare
il casino di campagna
o la villetta al mare
sappiate ascoltare e vedrete.
Un ruscello
un laghetto
una piscina
un parco col castello
una chiesuola col suo campanile
il presbiterio di una cattedrale
a chi potrebbe sfuggire
quando suonano le campane?
Un mulino una palestra
un’officina un ospedale
un pianoforte
con la signorina che fa le scale
i vocalizzi
del soprano e del tenore
una piccola osteria
con le tavole apparecchiate
in attesa del cliente
una collezione
di cartoline illustrate
i francobolli d’ogni continente
ascoltatevi
e mi saprete dire
ascoltatevi bene
prima di rispondere.
[….]
Sussurri
da captare e da fare propri, versi liberi come libera è la poetica
che domina la scena: delle volte in rima alternata, con i calembours
(i giochi di parole) che tanto richiamavano gli avanguardisti, con lo
sguardo dentro e allo stesso fuori, mimando il percorso di quel mondo
che appare come teatro per chi lo abita, ma che vive tutto dentro. Il
poeta osserva ma allo stesso tempo è osservato e in Dove
sono? si
interroga su questa ambivalenza:
[…]
«Sì
o no?»
dico
fissando il pubblico
con
portamento amletico
per
sondare fino a che punto
se
ne trovi contento:
«Che
ve ne pare?»
aggiungo
strizzando un occhio
in
tono sibillino
divenuto
oramai
un
mestiere come un altro
il
mio destino.
[…]
Col
gesto del grande attore
divellerò
le
tenui mie radici
come
dalla terra un fiore.
Riflessioni sul tempo che esiste e contemporaneamente scompare, liberandosi da ogni limitazione, facendo emergere ritmi e accenti che sono cari a ciascun essere nel proprio spazio d’esistenza. In Notturno in Piazza San Pietro, siamo in un luogo non-luogo che solo il titolo può localizzare, mentre il lettore rimane in un limbo di etereo e terreno:
Corpi
e ombre
per
la marmorea foresta
in
una notte di luna.
Dalla
solenne alternativa
un
Fior di Luce
si
distacca
e
attraversando lo spazio
rivela
la
chioma d’oro
e
ai piedi un’ala.
Giunto
nel mezzo
si
ferma
sospeso
fra
cielo e terra.
Per
la regal fuga di stanze
s’inoltra
illuminandone
l’oscurità
con
vaghezza di meteora
e
fino al letto
dove
un vegliardo riposa.
Nel
respiro greve del sonno
il
petto del vegliardo
si
espande con fatica
e
l’Impalpabile
avvicinatosi
a
quel corpo dormente
osserva
con ironica dolcezza
sorridendo
appena.
S’inginocchia
per
lambirne il piede
con
le labbra.
Riapparso
al centro
della
marmorea foresta
senza
sfiorare il suolo
in
tanta solennità
fra
corpi e ombre
si
ferma ancora
e
al cielo illuminato
prima
di scomparire
rivela
la
faccia divenuta argentea
lasciando
un vuoto nell’aria.
Eterna
rissa
degli
uomini sulla terra
e
nel cielo
eterna
impassibilità della luna.
Palazzeschi non manca di esplorare la naturalezza del linguaggio giocoso e irriverente tipico dei poeti che hanno vissuto il futurismo, entrando in un simpatico dialogo anche con personaggi illustri della letteratura, lasciandoci ancor più coinvolti nella sua immancabile esperienza-esistenza, in Essere o non essere:
Oggi
pensavo a te
noiosissimo Amleto
che combinasti tante
fesserie
dopo aver perduto il bandolo
del vivere
concreto
in questo mondo
dove ci
dibattiamo:
inutilmente
qualche volta con gioia
e non
di rado con malinconia
per sapere che siamo
e vivere che
sia.
Oggi è giornata bella
per me
tutto color di
rosa
intorno:
il trionfo dell'allegria.
Quando mi
sento
lieto e soddisfatto
ti rispondo:
« sono
»
senz'altro.
Menzione d’onore va alla poesia Rue de Buci – una meditazione sul nulla e sull’Io annientato dal fragore delle merci che abitano la via (o i pensieri?) del poeta, in cui si alternano versi in italiano e francese. A chiudere la sezione italiana, Paesaggio Atomico:
Tutto
distrutto.
Il poeta ci lascia così, affermando la sua presenza in un tempo decostruito e nuovo, in cui ogni questione è aperta, irrisolta e in costante divenire. Come nella sezione Quadretti Parigini, La Dame du Métro:
Levant
la tête
rapidement
à
chaque station
et
non pour lire
sur
les grands tableaux
blancs
et bleus
«
Volontaire Vaugirard Convention…
»
mais
pour marquer les étapes
du
temps perdu
avec
empressement
la
dame travaille
à
son tricot.
Et
lorsqu’à l’automne prochain
avec
un air d’importance
elle
passera autour de son cou
son
écharpe blanche et bleue
comme
les tableaux du métro:
«
Concorde Palais-Royal Châtelet…
»
non
pas « quelle beauté ! »
vous
dira
son
regard suffisant
mais
«
voyez monsieur
le
temps retrouvé ».
Alzando
la testa
velocemente
a
ogni stazione
e non per leggere
sui grandi pannelli
bianchi
e blu
«Volontaire Vaugirard Convention…»
ma per segnare
le tappe
del tempo perduto
con impazienza
la signora
lavora
a maglia.
E quando, il prossimo autunno,
con
aria importante
passerà intorno al collo
la sua sciarpa
bianca e blu
come i pannelli della metro:
«Concorde
Palais-Royal Châtelet…»
non dirà «che bellezza!»
vi
dirà
il
suo sguardo sufficiente
ma
«veda signore,
il tempo
ritrovato».
La poesia palazzeschiana gioca di filosofia e stasi gioiose che contengono tutto il movimento necessario di parole lette d’un fiato per farci addentrare ancor più nelle sue toponomastiche fantasie.
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