Il loro grido è la mia voce, poesie da Gaza, edito da Fazi Editore nell’aprile 2025 e curato da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti con le traduzioni di Nabil Bey Salameh, Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni, rappresenta per me, Giulia, un grido di risveglio: il risveglio della coscienza umana.
Un’opportunità, concessa al mondo, ancora una volta dal dono prezioso della parola poetica, per fare appello al suo sentire e all’universalità del suo dolore.
Per questo e, per la sua tragica attualità, è stato scelto per la rubrica letteraria del Collettivo Sincronie.
Non è sicuramente la tipica lettura da ombrellone ma potrebbe essere molto di più. Questa raccolta ha il dono, dolorosissimo, di squarciare l’anima; facendo appello ad un senso di fratellanza e umanità che troppo spesso sembriamo aver dimenticato. E ritrovarlo, credetemi, porta una pace vera e duratura dentro noi, gettando un fascio di luce sulla nostra triste contemporaneità.
Nella magistrale prefazione di Ilan Pappé si legge:
“Scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza dei palestinesi. (…) è impossibile non cogliere il grido di protesta per la vita e la rassegnazione alla morte.”
La poesia come atto di resistenza.
La forza della parola come tentativo di salvezza.
Ecco cosa troverete tra le pagine magnetiche e, al tempo stesso strazianti, di questo splendido lavoro collettivo portato avanti con l’obbiettivo di dare voce ai palestinesi “poiché dove la loro poesia vivrà i palestinesi resteranno.”
Ma soprattutto perché:
“Chi, da laggiù, trova ancora la forza di tenere una penna tra le dita merita tutta la nostra attenzione.”
La mia, la nostra, l’hanno sicuramente catturata.
Ci auguriamo possa avvenire lo stesso con la vostra.
La tenda è un corpo fragile,
la sua pelle di stoffa stanca,
le sue costole bastoni esili
oscillano a ogni sussurro del vento.
Il vento non chiede permesso,
entra da ogni fessura,
apre le porte su un vuoto infinito,
ruba il calore dell’istante
e lascia dietro di sé un silenzio tremante.
La tenda non è una casa,
è una promessa d’attesa,
e ogni impeto di vento
ti ricorda che sei di passaggio
su una terra che non porta il tuo nome.
(…)
I nomi, la terra, le dignità negate. Tutto trova spazio dentro queste pagine che parlano di conflitti mai risolti per una supremazia cieca. E del silenzio, sordo, di chi vive invece un benessere apparente.
Alcune delle voci che leggerete si sono già spente, di fronte al silenzio assordante dell’occidente.
Questa voce appartiene a Yousef Elqedra.
Allucinazioni di una poetessa prigioniera condannata per terrorismo
I vostri proiettili sono mortali
E nell’inchiostro della mia penna c’è vita
Le vostre armi saranno annientate
E la poesia rimarrà viva
---
(…)
Sono in isolamento
E le penne sono vietate
Né inchiostro né carta
Il cuore scrive memorizza i versi
La poesia in prigione è fuoco e luce
La poesia nella mia prigione
E’ nutrimento
E’ acqua e aria
---
(…)
Scriverò
Dalle tenebre delle caverne
Forse potrò risuscitare il fiore del mattino
Perché la poesia
E’ come il filo delle spade
Come il tuono del cielo
Perché tutti i proiettili che hanno sparato
Per soffocare le parole
Per uccidere la nostalgia, per uccidere l’antico e il nuovo
Per il nostro annientamento
Aumentano la resistenza
Rafforzano la volontà
Scriverò
Dalle tenebre delle caverne
Forse potrò risuscitare il fiore del mattino
Perché la poesia
E’ come il filo delle spade
Come il tuono del cielo
Perché tutti i proiettili che hanno sparato
Per soffocare le parole
Per uccidere la nostalgia, per uccidere l’antico e il nuovo
Per il nostro annientamento
Aumentano la resistenza
Rafforzano la volontà
Questa è la voce di Dareen Tatour, poetessa e fotografa più volte condannata, a seguito delle sue poesie, per incitamento alla violenza. Negandole, di fatto, il mestiere di poeta.
E’ un vero privilegio, per noi, ospitare i suoi versi all’interno del blog.
La parola è viva, si nutre di chi la legge, di chi l’accoglie, di chi ne porta nel mondo la testimonianza.
Queste parole sono moniti, richiami all’essenza, custodi di un fuoco che arde nell’animo di chi si apre.
Gettano luce nella disperazione, rompono silenzi, costruiscono ponti.
Una madre a Gaza non dorme …
Ascolta il buio, ne controlla i margini, filtra i suoni uno ad uno
per scegliere una storia che le si addica,
per cullare i suoi bambini
E dopo che tutti si sono addormentati,
si erge come uno scudo di fronte alla morte
Una madre a Gaza non piange
Raccoglie la paura, la rabbia e le preghiere nei suoi polmoni,
e attende che finisca il rombo degli aerei,
per liberare il respiro
Una madre a Gaza non è come tutte le madri
Fa il pane con il sale fresco dei suoi occhi …
e nutre la patria con i suoi figli.
Questa voce, sublime, è di Ni’ma Hassan.
Ed io, le sono grata.
Sfogliare le pagine di questa raccolta poetica significa mondare e addentrarsi nel dolore vivo del mondo, un dolore che racconta la fatica di un popolo che ancora, con amore, trasmette ai propri figli immagini belle e innocenti, ripescate da una memoria lontana, quella di chi ormai non c’è più.
Un popolo che resiste, minuto dopo minuto, alla barbarie umana custodendo ulivi secolari e la musicalità dei versi. Che si interroga sull’uso delle armi in maniera disarmante mentre dal cielo, ormai da tempo, non piove più nulla di buono. Si, da molto tempo, troppo, da quel lontano 1948.
(…)
Perché abbiamo paura delle armi
se non fanno nulla
senza di noi?
(…)
Perché abbiamo paura delle armi
se non fanno nulla
senza di noi?
(…)
Potremmo non cambiare questo mondo con ciò che scriviamo,
ma potremmo graffiare la sua vergogna
Se dividono la mia patria in due stati,
emigro
( voce di Marwan Makhoul)
---
(…)
Tornerò un giorno dicendo:
quello che non sanno gli annegati
è che se non avessero portato con loro
i loro grandi sogni
tutte le barche non sarebbero affondate.
(…)
---
Ho diciannove anni
e ho vissuto molte morti.
La prima quando avevo quattro anni.
Non c’è dubbio che ho preso
la mia parte di dolore,
paura e nostalgia.
Quando la vita si mostrerà a me?
---
29/02/2024
La bambina il cui padre è stato ucciso
mentre portava un sacco di farina
sulla schiena
continuerà a gustare
il sangue di suo padre
in ogni pane.
Questa voce appartiene a Haidar al-Ghazali, giovane poeta palestinese, suoi anche i versi:
La libertà per cui moriamo
non l’abbiamo mai sentita.
Il titolo del libro prende in prestito un suo verso magistrale, datato 25 aprile 2024.
Questo libro non parla solo di dolore, parla di innocenza, di purezza, di amore.
Ed ha un profumo splendido, quello della verità.
Oggi
i giovani liberi si sollevano nelle università
e lanciano la loro voce nel vento.
Oggi vediamo cuori sgozzati come i nostri
e piangono per le madri che non hanno trovato tempo
per piangere.
Oggi
i giovani liberi si sollevano nelle università
e non verrà promosso
chi non supererà l’esame di umanità.
Oggi il mondo mostra una certa giustizia,
una certa umanità,
il loro grido è la mia voce
e il loro sangue è il mio
bolle come la mano di una bambina amputata sulla terra.
Siamo un buon mondo,
governato da demoni bianchi
Perché non diventiamo un solo mondo?
Perché non cresciamo insieme?
La mia voce, la vostra voce
e il mio sangue, se accresce la vostra rabbia,
ora è vostro.
Insegnate ai vostri figli
che il corpo della terra è uno,
che i confini della terra sono un’invenzione
e chi non rifiuta di uccidere
sarà ucciso facilmente.
Fermate il fuoco sui nostri petti,
fermate il fuoco
perché possiamo seminare
la nostra terra
e nutrirvi.
Possiamo fare la differenza, sempre.
Non dimentichiamolo. Chi ne ha bisogno non lo scorda, mai.
Leggete questo libro, vi prego, c’è molto di più di quello che vi ho raccontato.
Leggetelo e permettete alla vostra anima di riconciliarsi con quella del mondo.
Buona lettura!
Comments
Post a Comment