Herbert mescola ironia e disperazione, romanticismo e impegno politico, segnando un cambiamento rispetto a scritture più tragiche e serie che avevano caratterizzato i testi che precedono la caduta del muro di Berlino.
La sua poesia diventa il testamento spirituale dell’uomo che è inscindibile dal poeta, e del poeta nella sua finitudine corporea ed umana, in cui i temi della memoria, del viaggio e della gratitudine per la vita si intrecciano con la consapevolezza della sofferenza, con impareggiabile precisione di intelletto e di parola.
Così, in questa raccolta di poesie, convivono i versi potenti e depurati da ogni orpello della Messa per gli imprigionati (per i quali dobbiamo ringraziare Valerio Grutt, che li ha letti e condivisi con noi la prima volta durante il nostro Laboratorio di Poesia del martedì):
Se questa dev’essere un’offerta per i miei imprigionati
è meglio che si svolga in un luogo inadeguato
senza la musica marmorea
l’oro il bianco l’incenso
meglio presso una cava di
argilla sotto un salice trascurato
quando sferza la pioggia mista a neve
(…)
insieme alle esortazioni incalzanti de Il
viaggio, di cui riportiamo i
versi di apertura:
Se parti per un viaggio che sia un viaggio lungo
un cammino senza meta apparente errando a tentoni
per conoscere la ruvidezza della terra col tatto e non solo con gli occhi
e misurarti col mondo con tutta la pelle
(...)
L'esplorazione della malattia e della fragilità del corpo si esprime attraverso una stoica accettazione della sofferenza, e la memoria diventa legame con il passato, nonostante il tempo sia un elemento corrosivo capace di impattare sulla vita e sull'identità, come negli ultimi versi in La nonna:
(…)
mi vuole preservare
alcuni anni di illusione
sa che arriverò
a conoscere da solo
senza parole scongiuri o pianto
la ruvida
superficie
e il fondo
della parola
E allora per svelarci delle tracce su quale sia il suo epilogo della tempesta, di come provare ad opporsi al nulla, alla perdita, al rimpianto, Zbigniew Herbert ci lascia degli indizi, definitivi nella loro precisione ma mai probanti, come in Tommaso:
Qui hanno appoggiato la lama sul corpo
proprio qui
e hanno spinto
e c’è un ricordo
che urla in tutte le lingue del pesce
- la ferita –
(…)
L'Epilogo della Tempesta
è un esempio lucido e viscerale allo stesso tempo di una poesia che
vibra e riecheggia, che rimanda con le parole e con tutto quanto ci
sta intorno - con gli spazi vuoti, con le pause, i sospiri e i
respiri umani - a un universo interiore aperto e contiguo al mondo
esteriore, lasciando visioni ampie verso molteplici orizzonti di
complessità, mai esauriti e mai definitivi, come nella chiusura de
Gli scacchi:
(…)
quando la ragione si addormenta
si svegliano le macchine
bisogna ricominciare da capo
il cammino verso l’immaginazione.
Noi invece iniziamo il nostro cammino da lui.
Comments
Post a Comment