I
Sono inciampata
tra le erbacce, i viottoli scoloriti
il grido di un gatto
- il vissuto – maligno
in mezzo alle sigarette
- come le mani – fumate
a metà.
E quando sono inciampata
là sono rimasta:
nella poesia che dice «Io»
tra la luna amata e la pipì dei
bimbi.
II
Com’è crudele l’alba:
toglie a quella che taglia,
ma getta sotto il cerchio che scotta.
- A chi dei due appartengo,
me, che sono ancora e nonostante
luce? –
Com’è rovinosa l’alba:
promette per tradire,
ritorna solo per andare.
Come squilla il Gallo:
tremo sotto il piumaggio,
a maggio muoio e rinasco
- a tutti è questa china di salmastro
d’amore corroso e dolore d’amianto –
ma a me è dosso curvo in eterno,
non risalgo dal fondo
dove la tua alba m’ha travolto.
E questa mi è crudele perché
- eppure so ancora rinascere –
svegliare è ricordare.
Riallineare – nello Iodio dell’adriatico –
memorie: due isole tremano,
le palpebre nascondono
sotto l’assalto del sole.
III [In occasione della luna delle fragole in Italia]
L’etimo è partorito
- rinasci, dolceamara Sorella –
dalla terra del Sogno crepato:
in distese silenti era la stagione
dei cuori coi semi – le fragole, Gemelle –
e chi amava, s’arrestava
e l’amava, così rossa
ad apprendere – amore, l’amore è prisma –
che il sublime è bianco oggi
e sangue domani.
Sorella, che sei figlia della dea di Saffo,
stanotte sei la fragola rosa
dell’anima mia:
e degli affanni e dei desideri lacrimanti
e dei sospiri e delle elegie non mi curo.
Questa notte ti guardo, alla linea più bassa
- ti è possibile l’Umanità? –
e mi scopro amata, Luna.
Ti sospinga il canto, te: mutevole e fissa.
IV
Fine anno – per chi sa rinnovare?
Il passerotto ha soffiato
e, remo, smargini i confini
sugli smerghi.
- È ferale il mare che non si vede –
Inizio anno – quale tempo finisce?
La nebbia s’è stesa,
con tre mollette appesa
questa vita ritrovata.
Tra il primo e il trentuno
il passerotto – erto sul tetto –
mi spia, sogghigna e
con lettera a me ignota
ulula:
il mare sta sempre là, cretina,
a che ti serve la poesia?
V
Sei solo l’anta
altra, inafferrata
di quella verdissima
- natia – persiana.
So che questa a tinta
metafora verde e serena ti
darà gioia, betulla di braccia aperte ma
il mio è solo un cuore sfranto, affranto
trito di stomaco marcio – e quanto mi piange questo sul petto.
So che questa o di negro
ti sembrerà lago gelato e affogato nel collo ma
il mio è un dolore che non può avere vocali,
né lettere chiare, né oscure voci:
muta e mesta sto, sacrificata
e col cuore
impiccato. So d’Ifigenia la lacrima, ma la flotta
deve partire e la tua
persiana coprirsi
d’addii.
***

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