Ultima voce chiama il sangue.

Campo cruento gli uomini, altro sangue per le donne:
è il giorno.


C’è un buio che non è assenza, ma sostanza - non un’ombra che vela, ma materia che si addensa.
Scurau di Giuseppe Nibali (Arcipelago Itaca, 2021) è stato scelto da Sabrina e rappresenta per il collettivo quel buio che non si limita a contenere la luce, ma la divora, la restituisce deformata, vischiosa, reale.
“Scurau”, in siciliano, significa “scurito”, ma anche “diventato buio”: una condizione più che un aggettivo. È infatti il verbo compiuto di un processo che ci riguarda.

Il libro è diviso in tre sezioni — Antropocene, Predazione, Scurau — e già questa tripartizione è una narrazione in sé: dall’umano che divora al mondo divorato, fino alla lingua che si fa nero assoluto.
Una discesa, o meglio, un ritorno verso la materia, verso la ferita. Questo libro non descrive solo l’oscurità. La genera.

Corpi cavi enormi, gonne e questi figli come squarcio.
Crolla la religione, Meroè, di chi conosce il tormento
di giocare fino al buco dell’abisso; lo sgravo che ricordi:
spruzzi di merda sul lenzuolo e dentro l’amigdala
appena lavati macelli, vene scure. Osiamo dire:

Cattedrale vuota l’ulivo schiacciato contro il greto
i rami le foglie lo schianto lo scantu della scorsa
materna sul petto. Matriarcato dei giochi l’ikea
i segni, questi, del nuovo potere; parola della madre.

Sì, siamo la madre. La morte la morte. La morte.

Nibali scrive come chi ha smesso di cercare la redenzione e si è messo invece a setacciare la cenere. Il suo linguaggio è pieno, viscerale, intriso di carne, ossa, scarti.
C’è un senso di predazione costante, di fame che non è solo biologica ma metafisica: l’umano come animale che non smette di divorare — e di essere divorato.
“Brindare con le acque nere”, scrive Giulia Bocchio nella sua introduzione su Poetarumsilva: e sì, in questo libro si brinda con ciò che resta, si celebra la decomposizione come unico rito possibile.

Perché in Scurau, non esiste più un confine tra umano, animale e oggetto. Tutto è contaminato: la terra, la carne, il ferro, il sangue. Le categorie si dissolvono in una lingua che ingloba, mastica, sputa.
Questa è una poesia del dopo, del postumo, dell’irrecuperabile. Ma è proprio in questa radicalità che Scurau trova la sua forza.

Vi seguirà il male dietro l’edera e di sopra
sul balcone in lamiera che avete per rifugio.
Non è il tempo delle corse alla ringhiera
mentre lo sfondo si disossa, passa dall’arco delle vie
per la montagna. È morto anche il vecchio prete
di Ragalna, per la fine del suo giorno una domenica.

Chissà che luce vi assale lì dai tetti, dove il sole si
inurba coi pastori fra i negozi e che fatica morire
anche voi nella chiesa col barrito alto della fiera.
Qui nel lontano la nebbia muove la pianura
sopra i ponti, dalla miseria di colline, altre volte
fuori dalla finestra si alza lo scheletro di un albero 

L’Antropocene, qui, è temperatura, è odore, la cronaca di chi vive dentro quella fine quotidiana, piccola, tangibile. Nibali non osserva il disastro: ne è parte - e il lettore, inevitabilmente, anche. Il noi che attraversa questi testi non è corale, è contagioso.

La lingua di Nibali è precisa e tagliente, eppure sempre fisica. Si ha sempre l’impressione di toccare, di annusare, di leccare.  Ogni verso è spessore, ogni immagine ha una sua propria consistenza.
È una lingua che scava, che non teme la ripetizione, la lacerazione, la bestemmia.
C’è dentro il ritmo della predicazione e quello della dissacrazione, il canto e il disfacimento.

e veramente sembrano finite come morte, quando le chiamano
per portarle alla cena.
alcune pregano (anche i maschi) per un nuovo accoppiamento
con lo stesso toro, altre sentono oscuramente, negli zoccoli
e poi sopra, dentro il corpo, l’annidamento. La blastocisti
ha invaso la mucosa. Ed è buono quello. Quello è santo. Poi
tacciono dei calci dal feto ma perdono appetito

Quando il libro approda alla sezione Scurau, interamente in siciliano (con traduzione sulla stessa pagina), la lingua si restringe e si amplifica al tempo stesso. Qui il dialetto non è ornamento, ma ritorno all’origine e perdita di ogni innocenza.
Scrivere in siciliano è un atto politico e carnale. La traduzione non ammorbidisce, non addomestica, ma mette in dialogo due oscurità — quella della lingua madre e quella della lingua d’uso.
Si leggono due testi che si guardano come in uno specchio deformante: entrambi feriti, entrambi vivi.

U generi umanu. Ju n’haiu scantu.
Nuatri semu pronti ppa tunnara
e fossi nuddu rumpìu l’acqualoru,
fici chiaja a so matri.


(Il genere umano. Io ne ho paura./ Noi siamo pronti per il massacro/ e forse nessuno ha rotto la placenta,/ ha ferito la madre.)


Ciò che colpisce di più di Scurau è la sua assenza di tenerezza. Non c’è redenzione, non c’è catarsi, non c’è “speranza nel buio”.

Eppure, dentro questa brutalità, si apre una forma di etica: quella della lucidità. Restare nel buio significa non mentire, non cedere alla superficie.
La poesia, allora, diventa una lotta contro la sterilità della parola, contro la trasparenza delle lingue che ci hanno resi muti, animali.

Daubentonia

La femmina che vibra nelle paglie
col dito ha scavato nella notte.
Nessuna voce ne è venuta,
muove il corpo verso la figlia e ricomincia:
da sole nella notte oscuramente per la luce
sulla parete. La spola muove un ordito impronunciabile:
sarebbero finiti i giorni, guardale. Sì.
Finiranno i giorni. Ma veramente.

Scurau non è un libro facile, né vuole esserlo.
Nibali riesce a fare del disincanto una forma di fede, una devozione senza dio.
C’è qualcosa di arcaico e contemporaneo insieme, come se le sue parole avessero memoria di catastrofi precedenti alla nostra nascita. A volte il suo linguaggio si chiude, si compatta su sé stesso, rischia la saturazione - ma è proprio in questa densità che si manifesta la sua onestà poetica: Nibali non scrive per addolcire, scrive per dire il male.
Proprio per questo Scurau ci è sembrato un libro necessario: non parla del buio, ma ci trascina dentro e ci mostra che è lì che ancora si può respirare.

Come scrive Tommaso Di Dio nella postfazione, Scurau “convoca tutti”, non solo come lettori, ma come corresponsabili. In queste pagine, il male non è altrove, non è nei potenti, nei distruttori, nei predatori di professione: è anche nelle nostre abitudini, nella nostra cecità, nella nostra fame quotidiana. L’oscurità di Nibali è antropologica, collettiva, condivisa, e proprio per questo, anche politica.
Il poeta non si mette al centro, ma si espone, si sporca, si implica.

Pi scannari n’cunigghiu, prima cosa
cauru cauru l’ha pigghiari r’intra a cunigghiera,
vacci a manu raputa, china china, come preiannu
scatta u cunigghiu masculu, chiddu chiù rossu, ha tastari
boni i spaddi, poi ci pappìi a tringa pi viriri su è rassu.
Nisciutu ra cunigghiera ha trasiri intra a cucina, cà ha teniri
bonu l’armaluzzu e iddu s’abbesa, ‘ncravacca i iammitti.
A cuzzata c’arrivari sutta i ricchi, accussì s’alluppìa, duna
l’arma a diu. No mentri na putenti cutiddata nto sternu,
d’unni cola u sangu, annunca a carni s’annirichisci.

P’a pelli, tagghia pattennu rei cosci e u tagghiu arriva
fino ai cannarozza, ri cà ietta buredda e stommacu, poi
votulu e tagghia sutta a cura. Ora posa u cuteddu, teni
i lati e duci strascina da cosetta i sita. T’arresta
ntei manu u scantu, n’aranata senza scoccia.


(Per scannare un coniglio, per prima cosa/ devi prenderlo da dentro la conigliera,/ vacci a mano aperta, bene aperta, come pregando/ scegli il coniglio maschio, quello più grosso, devi tastare/ bene le spalle, poi palpeggia la schiena per vedere se è grasso./ Uscito dalla conigliera devi entrare in cucina, qui tieni/ bene l’animaletto e lui si sistema, stende le zampe./ il colpo deve arrivare sotto le orecchie, così si tramortisce,/ dà l’anima a dio. Nel frattempo una forte coltellata nello sterno,/ da dove colerà il sangue, altrimenti la carne s’annerisce.// Per la pelle, taglia partendo dalle cosce e il taglio deve arrivare/ alla gola, da qui butta budelle e stomaco, poi/ giralo e taglia sotto la coda. Ora posa il coltello, tieni/ i lati e dolcemente sfila quella calza di seta. Ti rimane/ nelle mani lo spavento, una melagrana senza scorza.) 

Leggere Scurau significa venirne via con addosso il fango e il sangue, e una consapevolezza più nuda.
Nibali scava, e in un’epoca che preferisce il decoro alla verità, questo è un gesto raro.

Restiamo soli in questo buio fitto e abitato - ma in quel nero che si muove, ritroviamo tutto quello che è necessario.




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