Basterebbe una sola poesia a comprovare la forza di questa raccolta, basterebbe una sola lettura a giustificarne l'immensa testimonianza poetica. Che cos'è la poesia se non una parola vera tra tante menzogne? Che cos'è l'arte se non uno strumento per dare voce a chi una voce non sa di averla? A cosa può mai servire il privilegio della scrittura se non estendiamo i suoi effetti benefici su chi non ne ha? Far parlare, attraverso la nascita di un figlio, un’intera umanità; cosa può mai esserci di più essenziale e difficile?
Riscoprire oggi la poetica di Bertolt Brecht ha un sapore necessario, come quello di un cibo appena sfornato per uno stomaco affamato. Esattamente per questo, Poesie politiche di Bertolt Brecht edito nel 2014 da Giulio Einaudi Editore, è stato scelto da Giulia per la rubrica del Collettivo di questa settimana.
Ninne-nanne
1
Quando ti partorii, già i tuoi fratelli strillando
volevano una minestra, e io però non l’avevo.
Quando ti partorii, non avevamo soldi per il gas
così fu scarsa la luce che il mondo ti diede.
Quando ti portai nel grembo per tutti quei mesi
parlavo di te con tuo padre,
ma per il dottore non avevamo soldi,
ci servivano per spalmare il pane.
Quando ti concepii, già avevamo sepolto
quasi ogni speranza nel pane e nel lavoro -
e solo in Karl Marx e in Lenin era scritto
che noi lavoratori abbiamo un futuro.
3
Ti ho portato in grembo fino a che sei nato
e dovetti lottare già solo per questo.
Per concepirti ci volle del coraggio
e fu un ardire il portarti in grembo.
(…)
Sono vittorie pane e un sorso di latte!
Trionfo sul campo una stanza calda!
Prima che io possa tirarti su grande
giorno e notte dura la mia battaglia.
Strappare a fatica un pezzo di pane per te
significa fare picchetti durante gli scioperi
domare grandi generali e
affrontare i carri armati.
Tu eri piccolo ma prima, lottando
ti ho tirato su grande, poi
ho guadagnato un altro
che lotta e vince con noi.
4
(...)
Figlio mio, lascia che tua madre te lo dica:
ti attende una vita più grama della peste.
Ma io non ti ho tenuto in me sino alla fine
perché ogni cosa tu tolleri senza proteste.
Quello che tu non hai non crederlo perduto.
Quello che non ti dànno, a carpirlo sii pronto.
Io, tua madre, non ti ho partorito
perché tu giaccia di notte sotto l'arco di un ponte.
(…)
Certo loro progettano nuove guerre per te,
che cosa devo fare perché tu non creda alle loro sporche menzogne?
Tua madre, figlio, non ti ha detto con inganno
che tu sei un uomo di grande statura,
ma non ti ha allevato tra mille ansietà
perché un giorno tu penda da un reticolato gridando per l’arsura.
Figlio mio, tienti unito ai tuoi simili
perché la loro forza si dissolva come polvere.
Tu, figlio mio, e io e tutti i nostri simili
dobbiamo stare uniti e dobbiamo ottenere
che al mondo non ci siano più due specie di uomini.
All'interno della sezione Destini proletari si parla di futuro, attese, coraggio, crisi abitativa, disoccupazione, del potere e della sua assenza. Dell’azione, della sua necessità, del costo del sapere, dell’usura del capitalismo… insomma, si parla di noi.
Uomo che hai la giacca consunta:
nelle fabbriche tessili
tessono per te un abito di panno
che non consumerai.
I testi abilmente selezionati in questa raccolta trasudano umanità, come nel caso Della infanticida Marie Farrar che, nella sua crudele verità, impone al lettore di gettare lo sguardo oltre i fatti, analizzando i percorsi, i sistemi all'interno dei quali si realizzano. Non solo è moderna e attuale la lettura dei contenuti ma anche l’intento critico che esorta a sviluppare; considerando ogni prospettiva, allenando lo sguardo, interrogandosi sul perché di certe questioni umane. Poiché, come l’autore ci esorta a ricordare, tutto è politica e la politica ha sempre il suo peso in ogni vicenda umana e, di certo, le sue responsabilità.
9
Marie Farrar, nata in aprile,
defunta nelle carceri di Meißen,
ragazza madre, condannata, vuole
mostrare a tutti quanto siamo fragili.
Voi che partorite comode in letti puliti
e il vostro grembo gravido chiamate «benedetto»,
contro i deboli e i reietti non scagliate l’anatema.
Fu grave il suo peccato, ma grande la sua pena.
Di grazia, quindi, non vogliate adirarvi
ogni creatura ha bisogno dell’aiuto degli altri.
Addentrandoci sempre di più nella visione del mondo offertaci dallo sguardo abile e analitico di Brecht ne comprendiamo, parola dopo verso, la portata rivoluzionaria, la forza visionaria, radicale e soprattutto l’avanguardia pura. Sia all'interno di Lotta di classe, sia in Capitalismo, Brecht sembra parlare proprio a noi che viviamo nel nuovo millennio.
L’autore, con ironia e salda verità, ci porta a sorridere dei capricci dell’occidente di quei tempi, poco lontano da quello dei nostri, lo fa attraverso i versi di Esame per ottenere la cittadinanza. Ad un uomo che lavorava sodo ma non comprendeva la lingua e forniva sempre la solita errata risposta, il giudice, in quarta istanza, cambiò la domanda affinché l’interrogato potesse rispondere correttamente e il lettore, senza nemmeno accorgersene, si ritrova a sorridere sulla banalità dell’evento. Quanto sarebbero facili, semplici e funzionali le cose se solo fossimo disposti, a volte, a cambiare prospettiva.
Sull’analisi del “punto di vista” consiglio vivamente una lettura attenta dell’introduzione a questa raccolta, magistralmente condotta da Alberto Asor Rosa. Spunto luminoso e approfondimento necessario alla comprensione dell'attualità e della portata rivoluzionaria della scrittura di Brecht.
Quelli che stanno in alto
si sono riuniti in una stanza.
Uomo della strada
lascia ogni speranza.
I governi
firmano patti di non aggressione.
Uomo qualsiasi,
firma il tuo testamento.
La scrittura di Brecht non si limita ad offrire una fotografia della realtà, nuda e cruda, fatto già di per sé mirabile, ma diventa esortazione all'azione, sprona il lettore, il cittadino, l'essere umano ad agire perché nessuno si sottragga più all'assunzione delle proprie responsabilità: “Non aspettarti / nessuna risposta oltre la tua.”
Per chi sta in alto
parlare di mangiare è cosa bassa.
Si capisce: hanno già
mangiato, loro.
Chi sta in basso deve andarsene dal mondo
senza aver mangiato
un pò di carne buona.
Per pensare di dove venga e dove
vada, chi è in basso,
nelle belle serate,
troppo è sfinito.
I monti e il mare grande
non li hanno ancora visti
che il loro tempo già è passato.
Se chi è in basso non pensa
alla bassezza, mai
potrà venire in alto.
—
Elogio dell’imparare
(…)
Impara l’abbiccì: non basta, è vero,
ma imparalo! Non avvilirti!
Comincia! Devi sapere tutto!
Tocca a te assumere il comando.
Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara, sessantenne!
Tocca a te assumere il comando!
Frequenta la scuola senzatetto!
Procurati sapere, tu che hai freddo!
Affamato, impugna il libro: è un’arma.
Tocca a te assumere il comando.
Compagno, non temere di chiedere!
Non dar credito a nulla,
controlla tu stesso!
Quello che non sai di tua scienza
in realtà non lo sai.
Verifica il conto:
tocca a te pagarlo.
Poni il dito su ogni voce,
chiedi cosa significa.
Tocca a te assumere il comando.
In un’epoca in cui nessuno si assume più la responsabilità di ciò che pensa e agisce, Bertolt ci esorta a fare l’esatto contrario. Ci ricorda che siamo noi al centro degli eventi, che siamo noi la benzina sul fuoco o l’acqua sull’incendio. E che possiamo smettere di percorrere percorsi già tracciati da altri, conquistando tappe mai sognate, ricoprendo incarichi mai desiderati, annientando sogni e desideri, allontanando il dubbio che risiede nell’intimo di ognuno come fosse il veleno dei veleni. Non accontentatevi di ciò che vi raccontano, dubitate sempre.
Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai.
Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio.
Con coloro che non riflettono e mai dubitano
si incontrano coloro che riflettono e mai agiscono.
Perché se osserviamo bene la storia, dice Brecht, e ampliamo lo sguardo, noi, lettori operai, ci siamo sempre stati e sempre ci saremo. “Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori? Roma la grande è piena di archi di trionfo. Chi li costruì? Il giovane Alessandro conquistò l'India. Da solo?” C’è un’umanità proletaria che ha reso e rende, ancora oggi, possibili certe pagine di storia. Brecht non solo la vedeva, ne cantava le gesta. E noi? A distanza di quasi un secolo, riusciamo a vederla? Siamo capaci di trovare il coraggio di orientarla? C'è, nelle parole di Brecht, una lungimiranza disarmante e una condanna netta per la storia del suo tempo. Il suo sguardo poetico smaschera, spiega, accompagna, si impregna della sostanza delle umane cose. Non c'è nessuna paura di chiamare le cose con il loro nome, questo, immagino, significhi Verità.
Ai posteriori
3
Voi che sarete emersi dai roghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.
Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.
Eppure lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si poté essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.



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