Sei da sempre la neve che tutti i mari
si contendono come miracolo
dell’apparire del tempo,
hai reso casa i relitti
abbandonati negli strati di silenzio
dove si nascondono le anime accarezzate,
hai provato con il mio a rendere sacro
il cuore opaco di un fantasma.
*
Ognuno ha un tempo diverso di sognare
senza alcun incastro certo di orari
per approdare nei luoghi senza ali,
tutti a leggere nelle lancette i rifugi
più sicuri sotto i tremori traballanti della terra.
Alcuni chiedono ai morti il senso
delle proprie pieghe, le deviazioni
che trasformano i secondi in ora,
adesso, in eterno;
c’è chi si arrocca nelle fessure vuote
dei minuti e aspira alla cima del buio,
io ho deciso di abbandonarmi ai riflessi
dei giorni, i sogni che strabordano
di notte mi spaventano per le idee
che se ne cuciono all’alba.
Bisognerebbe alleggerire lo squilibrio,
travasare un po’ di magia
anche negli occhi di chi non pesa.
*
Passeggiando fra le tue ossa
ho visitato le rovine di una città
come in pellegrinaggio per la pace,
c’erano mura spoglie del calore umano
battiti conservati nel vetro
e un mucchio di acerbe ansie.
Al centro una piazza custodiva
il tuo incerto andare con un tempio
ad una sola colonna,
irraggiungibile per ogni bussola.
Mi indicava una via antica,
la traiettoria primordiale degli inizi
ma io non sono mai cominciato
ho sempre preferito perdermi
nel miracolo sensibile delle tue strade.
*
Ad oggi il gioco che ci lega
è trovare la giusta posizione
alle curve distratte delle labbra.
Prova a spostare un po’ il bacio
verso l’aria che lo sorregge,
troveresti le nuove regole del patto
che duri di più tu di tutte le singole parti
delle cose eterne.
Ogni tempo ha un imprevisto
in cui è ancora bello inciampare insieme,
sto con te imperfetto in migliaia di voci
fino a quando l’urlo sarà solo mio
la tua una scia lontana, del tradimento
alla vita che mi ha fatto morire veloce.
*
Il richiamo di chi si disannuncia
ha il valore di un inno cantato
da una frontiera senza il peso
della gravità, l’argine
dove le cose senza nome vanno
insieme per cieli.
Così ho imparato ad allontanare
spesso anche io dal chiasso
l’ordine in fila dei miei passi
metterli in cammino senza
che per forza siano,
come nella maniera giusta di bastarsi
rinunciare.
*
Stefano Calemme (Napoli, 1999) ha vissuto nella città partenopea, quindi a Rimini e poi a Bologna. La sua passione per la scrittura si manifesta alle scuole medie dove nascono le sue prime poesie. Ha pubblicato Se fiorisse la tempesta (Aletti Editore, 2020) e Atlante delle ferite (Fara Editore, 2025) da cui provengono questi testi. Alcuni brani sono stati pubblicati anche su Radura Poetica.

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